Crisi di nascite, crisi di civiltà: riflessione sulla 43esima Giornata per la Vita

Mai a riscontrare nell’album virtuale della mia lunga esistenza, un Natale come quello del 2020, senza il fascino della Messa a mezzanotte, officiata perfino nei primi anni ‘40 fra l’infuriare della guerra. Ma lo sconcerto non è tanto riferito alla Messa di  mezzanotte. E’ derivato dalla riflessione su un Natale di “denatalità” inarrestabile. Da un quadro complessivo fosco che annerisce l’istituzione familiare. Da una progressiva disgregazione della leggendaria casa domestica che ora sbarra le porte alla vita e che tracima nel baratro l’intera società. Il problema sta nell’impatto psicologico sui giovani, prodotto adesso dalla pandemia, che man mano li spinge a non generare figli. Sta nell’inquietudine del nostro Molise sano che – perdendo la migliore gioventù, in fuga verso luoghi maggiormente produttivi – non riesce a scrutare più il suo futuro. Il pensiero sta nel suicidio demografico ingrossato pure dalla irrilevante propensione al matrimonio sacramentale. E c’è poi la precarietà e la rilassatezza dei nostri governanti, incapaci e indisposti a trovare tempi e interventi coraggiosi, in difesa della vita e della famiglia.

E noi facciamo finta di niente, seppur in presenza d’un allucinante presagio di morte. “Resistono soltanto i paesi dei vecchi ormai” – dicono gli osservatori – “paeselli senza più lettini per i baby”. Ma saranno fatalmente proprio i nonnini a “trasmigrare altrove” in tempi brevi, e a non essere neppure loro più rimpiazzati da altri vecchi, perché, nel frattempo, è mancata alle verdi generazioni, la voglia di sprigionare una scintilla di eternità alla vita.

Oh che voragine di malinconia! Resa ancor più cocente da una sparata di Beppe Grillo con la quale tempo fa, sbrigliava i giovani contro la nociva permanenza in vita degli ultrasettantennni.

Ci vorrà un tempo di grazia per ritrovare corresponsabilità, impegno educativo e formativo, e per moltiplicare sforzi comuni indispensabili a scongiurare la totale desertificazione, non solo nei “paesi dei vecchi”, ma – ahimé – in tutto il planisfero.

Ciononostante, potremmo addirittura essere sorpresi dall’ “inaudito”. Dal capovolgimento, cioè, d’una condizione di morte, in un trionfo di speranza. L’immane perdita di esistenze umane scatenate dal Coronavirus, avrà diritto a suscitare incredibilmente nelle coppie, un desiderio di bellezza e di stupori, segnati dall’anelito di una nuova vita. Potrà esserci una rivoluzione culturale, un fremito di massa orientata a redimere l’ecatombe, in generosi ritorni di “natalità”. Ed un timido segnacolo di rifioritura – grazie a Dio – sembra intravedersi già a Guardialfiera.

“Libertà e vita” è il Messaggio della CEI per la 43^ Giornata per la Vita del 7 febbraio. Libertà ad accettare il concepimento ed il compimento d’una realtà che può ancora cambiare la storia. Libertà a meravigliarsi del mondo che continua con la vita nei figli dei figli, in ordinarietà e tenerezza. Libertà è sbaragliarsi di una società senza eredi e senza nessuno che ci ami. Libertà è scoprire lo spazio che non basta mai: lo sfoggio del bimbo che sente, che pensa, che sorride. E’ una forza potente che si oppone all’appiattimento e alla minaccia d’essere arido e insoddisfatto. Libertà è stata l’immensa euforia percepita da medici e infermieri nell’Ospedale di Cremona, quando nello scorso mese di giugno, s’è registrato un record di parti: 15 nati in 24 ore! Un’apoteosi di sopravvivenze fiorite insieme a gridare che la vita non s’arrende, perché più forte di qualsiasi virus. Perché “la vita è bella” come quel valzer vivace e piccante di Cherubini-Fragna cantato nel 1952 da Consolini e come l’analoga canzone di Roberto Benigni e Nicola Piovani del 1997, così serena,  da convincerci che davvero “la vita è bella”, perché è sguardo, è dono, è incontro, è promessa di ogni bene.

vincenzo di sabato