Dalla pandemia non facciamoci rubare la bellezza: riflessione a cura di don Nicola Mattia

Un percorso di arte e fede sul territorio per tracciare sentieri di speranza per un domani che certo ci sarà

Dalla pandemia non facciamoci rubare la bellezza

In questo tempo di pandemia fatto di lutti e disorientamenti, bisogna tracciare sentieri di speranza per un domani che certo ci sarà.

Guardiamo alla ricchezza dei popoli che formano questo fazzoletto di terra chiamata Molise, fissiamo gli occhi sulla bellezza.

La bellezza può salvare il nostro Molise? Si! Cento volte Sì.

Osserviamo il particolare di un trittico di Michele Greco da Valona artista cattolico di rito greco proveniente da Valona, che ha operato tra noi agli inizi del 1500.

Le sue opere conosciute sono conservate, 3 (forse 4) a Guglionesi e 1 a Vasto.

Il compianto sul Cristo morto, posto sulla cuspide del trittico della Madonna in trono con Bambino tra i santi Giovanni Battista e Adamo, è datato 1 giugno 1505, riporta la firma dell’autore e cita la committenza.

Si noti  che nel 1496 Guglionesi fu saccheggiata dalle truppe di Carlo VIII.

A questa tragedia, il paese reagì cercando la bellezza come valore per ripartire.

Prendiamo  ancora esempio dai nostri padri e madri e scommettiamo su questo lembo di terra.

Quella del compianto sul Cristo morto, è un’ immagine molto presente nelle opere rinascimentali. In Italia, il compianto è presente dalla seconda metà del 1300 fino alla fine del 1600.

In questo lungo tempo, l’arte, dona volto e sentimento a tutto il cammino spirituale in corso.

A partire da San Bernardo di Chiaravalle (1090 – 1153), e passando per gli ordini mendicanti si diffonde una spiritualità che si concentra sugli eventi della vita terrena di Gesù e di Maria.

Il francescanesimo guidato da S. Bonaventura, ci dona la preghiera dell’Angelus nella forma da noi conosciuta. La Via Crucis, che nel suo nucleo sembra risalire al XII secolo, ora si afferma.

Rilevanti sono le opere del beato Jacopone da Todi (1230 circa – 1306) e le grandi mistiche italiane.

Accanto al percorso del cristianesimo occidentale, non bisogna tralasciare, parlando di Michele Greco da Valona, quello dei cristiani dell’occidente che, tra le tante icone, ne hanno una scritta e declinata in almeno due versioni : “Nymphios” e “Non piangere Madre” probabilmente conosciute e pregate dal valonese e che possono aver influito sul compianto di Guglionesi.

Le prime icone del “Non piangere Madre” sono del sec. XII a Costantinopoli dove, nella Haghia Sophia, si ammirava la Sacra Sindone seppur parzialmente perché piegata.

La postura del capo del Nymphios, secondo gli studiosi, conferma la Sindone come archetipo. Con il busto eretto seppur morto, ora è lo sposo che anche nella notte della morte cerca la sposa. Alle spalle del Cristo compare la croce con la scritta “Re della gloria”.

La croce e l’iscrizione dicono la regalità di Cristo mentre la regalità di Maria è individuabile nei colori del suo maphorion.

Maria, nel “Non piangere Madre”, sorregge il Figlio in un tenero abbraccio.

Le piaghe sanguinanti, il capo quasi incastrato in quello della Madre che, con la mano destra, raccoglie il sangue che esce dal cuore trafitto e indica a noi il Figlio anche attraverso il sollevamento del capo.

Lo sguardo di Maria vuol dare luce agli occhi chiusi del Figlio e invitare noi a guardare verso l’alto nelle prove più dure (cfr  Lc 21, 28).

Nel compianto di Guglionesi, l’assenza delle pupille di Maria, evidenziano la drammaticità della scena.

La relazione tra le icone “Non piangere Madre” e le icone della “Teothokos Odigitria” è evidente: Il Bambino eretto e la Madre alla destra che lo indica.

Non piangere Madre” giunse in Italia verso il XIII sec. Si diffuse evolvendosi nel Compianto.

Come nel cristianesimo occidentale, anche in quello orientale l’attenzione al dolore di Maria è importante nella spiritualità della Settimana Santa.

  1. Romano il melode (+ dopo il 555), a consolazione di Maria, mette sulle labbra di Gesù, queste parole: “Ancora un poco di pazienza, Madre, perché tu possa cantare: ‘Con il soffrire distrugge il soffrire, il figlio mio e mio Dio’…”

In  Michele greco da Valona tutto quanto tesse la vita tra due sponde dell’Adriatico, si fonde e diventa un inno di fede espresso nell’armonia della bellezza, nella perfezione delle forme e nella sinfonia dei colori.

Nella cuspide, l’autore esprime con i canoni stilistici occidentali, le categorie delle icone orientali.

Il luminoso quadrato cosmico, che emerge dal buio in ripetizione, evoca la croce. Manca la scritta regale ma, Gesù è coronato di spine, i capelli sono raccolti la barba è in ordine. Negli angoli inferiori della cuspide, i segni della Passione – Regalità:  La canna con la spugna, i flagelli,  la colonna, la lancia, i chiodi e la scala.

Dal corpo di Cristo, che esprime già il vigore della Pasqua, emana un fulgore che dona serena luce.

La morte è espressa dagli occhi chiusi, dalla postura anatomica dei muscoli toracici e dal rigonfiamento del basso ventre di Gesù.

Sulle gambe di Cristo, un panno bianco percorso, sotto il fianco aperto, da una fascia di tre righe azzurre in continuità con il sangue del costato aperto: “Ne uscì sangue e acqua” (cfr. Gv 19,34).

In questo panno è facile riconoscere il manto di luce per la preghiera degli ebrei: il Tallit.

Sul tallit le dita della mano sinistra di Gesù rilasciano il sangue. Il tallit fuoriesce dalla base della cuspide. Veniamo così coinvolti nella preghiera di Gesù e avvolti nel manto di luce, reso ancora più sfavillante dal Sangue di Cristo.

I canoni iconografici dicono che con la Madre e Cristo morto è Giovanni che stringe in un gesto affettuoso, il braccio di Gesù.

Il capo chino, la fronte corrucciata, le lacrime, la tensione di tutto il corpo ben espresso nell’evidenziazione dei nervi e dei muscoli del collo, esprimono il dolore.

L’orecchio di Giovanni, realizzato con dovizia di particolari, è già teso per accogliere l’alleluia.

Non permettiamo a questa pandemia di rubarci la bellezza perché nella bellezza troveremo il gusto per continuare a dire che questa terra può essere vissuta.

Nicola MATTIA