L’annus horribilis: novant’anni dopo l’Azione Cattolica non dimentica i giorni più bui della sua storia

riceviamo da Luca La Luna un contributo di approfondimento

“A voi, Vescovi di tutte e singole le diocesi di questa cara Italia, a voi non dobbiamo soltanto l’espressione della Nostra riconoscenza per le consolazioni delle quali in nobile e santa gara … ma vi dobbiamo pure un contraccambio di condoglianze per quello che ciascuno di voi ha sofferto, vedendo improvvisamente abbattersi la bufera devastatrice sulle aiuole più riccamente fiorite e promettenti dei giardini spirituali, che lo Spirito Santo ha affidato alle vostre cure, e che voi con tanta diligenza venivate coltivando e con tanto bene delle anime. Particolarmente grati vi siamo della unanime e davvero imponente testimonianza da voi resa alla Azione Cattolica Italiana e segnatamente alle Associazioni Giovanili, d’esser rimaste docili e fedeli alle Nostre e vostre direttive escludenti ogni attività politica o di partito.”

(Pio XI, Lettera Enciclica “Non abbiamo bisogno”, 29 Giugno 1931)

 

Tutto sembrava volgere per il meglio, il giorno tanto atteso era arrivato …  l’11 febbraio 1929, dopo quasi sessant’anni (1870-1929), si poneva la parola fine alla cosiddetta “questione romana” e iniziava finalmente un nuovo periodo di conciliazione e di rapporti diplomatici tra il regno d’Italia e il neonato stato della Città del Vaticano, i patti vennero sottoscritti nel palazzo del Laterano a Roma tra il Cardinale Segretario di Stato Pietro Gasparri per la Santa Sede e Benito Mussolini, in quanto Capo del governo primo ministro segretario di Stato del Regno d’Italia.

L’art. 43 del Concordato recitava: Lo Stato italiano riconosce le organizzazioni dipendenti dall’Azione Cattolica Italiana, in quanto esse, siccome la Santa Sede ha disposto, svolgano la loro attività al di fuori di ogni partito politico e sotto l’immediata dipendenza della gerarchia della Chiesa per la diffusione e l’attuazione dei principi cattolici , perciò con tale articolo veniva riconosciuta ufficialmente l’Azione Cattolica Italiana a patto che svolgesse attività fuori da ogni partito, alle dipendenze della Chiesa e per la diffusione di principi cattolici, l’associazionismo cattolico e la libertà di svolgere attività di educazione delle giovani generazioni erano state difese e si pensava di poter ben sperare per l’avvenire.

Ma quest’articolo del Concordato tanto dibattuto tra le parti non lasciava dormire sonni tranquilli perché il regime fascista aveva paura di rimanere all’ombra nell’educazione delle giovani generazioni, perché l’AC non si occupava solo dell’aspetto religioso dei suoi membri ma svolgeva attività ricreative, sociali e culturali nelle sue cinquemila sedi sparse in tutta Italia.

Dopo due anni da quel concordato, il clima tra le parti è abbastanza teso, già nei primi mesi del 1931, quando in diverse città italiane vengono denunciate violente e aggressioni da parte del regime alle organizzazioni cattoliche, Mussolini chiede alla Santa Sede che venga moderata la stampa cattolica e l’AC si deve occupare soltanto dell’educazione religiosa dei suoi membri.

Riguardo al clima di paura e terrore che era stato sparso in quei mesi nelle sedi dell’Azione Cattolica, il direttore e giornalista de L’Osservatore Romano Giuseppe Dalla Torre, già presidente della Giunta Centrale di AC, scrisse: “furono sopraffazioni, spesso sanguinose, devastazioni che giunsero a sacrileghe profanazioni di crocifissi spezzati, di immagini pie sfregiate, di ritratti del papa stracciati e calpestati fra grida di “abbasso” e di “morte” all’Azione Cattolica e al sommo pontefice, e canzoni blasfeme e oscene, ed offese ai sacerdoti. Studenti e giovani cattolici, anche se gravemente aggrediti da un numero superiore di dimostranti, non si piegarono alle intimidazioni di levare i distintivi, che furono strappati solo con la violenza e dopo resistenze ripetute più volte in uno stesso giorno”.

Il 26 Maggio 1931 i prefetti di tutt’Italia avevano ricevuto disposizioni dallo stesso Mussolini di procedere allo «scioglimento di tutte le associazioni giovanili non dipendenti direttamente dal Partito Nazionale Fascista e dall’Opera Nazionale Balilla», tre giorni dopo, il 29 Maggio, verrà pubblicato il decreto e le sedi dei circoli vennero chiuse dall’autorità; sequestrati i beni, i documenti e gli elenchi degli iscritti. Gli ultimi giorni di quel mese la polizia sequestrò tutti i circoli. La battaglia non era finita e papa Pio XI di certo non restò in silenzio sull’accaduto, nei primi giorni di Giugno proibì in tutte le parrocchie le processioni del Corpus Domini e ogni altra funzione religiosa all’esterno delle chiese ed esortava i vescovi di tutta Italia a fare altrettanto, mise al sicuro i dirigenti dell’associazionismo cattolico ospitandoli per qualche tempo in Vaticano.

Dopo un mese dall’accaduto, il 29 giugno il papa scrisse e promulgò la lettera enciclica “Non abbiamo bisogno” in cui difese l’Azione Cattolica e condannò apertamente il fascismo come dottrina totalitaria e affermava che colpire le sue associazioni giovanili significava impedire che la gioventù vada a Gesù Cristo.

Purtroppo, a livello diocesano, ci sono poche o quasi nessuna informazione che attesta gli avvenimenti di quei mesi, le notizie sono abbastanza frammentate nella memoria dei nostri paesi che hanno vissuto qualche scontro o disordine nel mese di giugno di quell’anno.

In diversi paesi della nostra diocesi, non appena i sacerdoti comunicarono le disposizioni delle autorità civili e del vescovo diocesano proibendo di fare le processioni all’esterno delle chiese, ci fu un gran fermento nella popolazione e disubbidendo all’autorità ecclesiastica, molti paesi le svolsero, probabilmente quelle di Corpus Domini e di Sant’Antonio di Padova, quest’ultima molto sentita dalla maggior parte dei nostri territori a prevalenza agricola. Nella maggior parte dei casi queste processioni si svolsero alla sola presenza dei portatori della statua “i quali forzatamente se ne impossessarono” e di tutto il popolo, senza la presenza del clero o quando meno non tutti i sacerdoti aderirono alle processioni.

Dopo questi accadimenti, la risposta del nostro vescovo diocesano Mons. Oddo Bernacchia, non si fece attendere e il 20 Giugno emise un decreto che comminava pesanti sanzioni, a tutti coloro che avevano disobbedito all’autorità e alle disposizioni che erano pervenute ai parroci delle parrocchie della nostra diocesi.

Il decreto prevedeva le seguenti sanzioni: “l’immediato scioglimento della congrega o commissione della festa; l’interdetto del sacro edificio a cui apparteneva il simulacro o, nel caso di un’unica chiesa destinata al culto, dell’altare dedicato al Santo; la sospensione delle funzioni in tutte le chiese dei centri interessati fino al 15 Luglio successivo, ad eccezione della celebrazione liturgica feriale e della celebrazione esequiale, senza il suono delle campane; la scomunica dei portatori della statua del Santo, degli organizzatori e promotori della festa ”.

Dopo questa rottura, finalmente il 2 Settembre ci fu l’accordo che i circoli cattolici di tutt’Italia potevano riaprire a patto che l’AC è diocesana, dipenda dai vescovi che scelgono i propri dirigenti, non formeranno al proprio interno gruppi professionali e sindacali proponendo solo attività religiosa e i circoli si chiameranno “associazioni di AC” e si asterranno dalle attività atletiche e sportive. Così nello stesso anno la Società della Gioventù Cattolica diventerà Gioventù Italiana di Azione Cattolica (GIAC).

Dopo sette anni da quegli episodi, nell’estate del 1938, ci furono delle altre tensioni tra il regime fascista e l’Azione Cattolica, placate poco dopo, a causa dei distintivi e della tessera associativa che secondo i dirigenti del partito fascista non potevano andare d’accordo. Sono anni molto difficili per la nostra associazione e per l’Italia, segnata da un regime totalitario che aveva azzerato qualsiasi diritto o forma di libertà singola e collettiva. Questo avvenimento è documento dalla lettera, allegata a questo articolo, datata 5 Luglio 1938 a firma dal nostro vescovo diocesano mons. Oddo Bernacchia  e indirizzata all’allora Assistente Ecclesiastico Generale dell’Azione Cattolica Italiana Sua Em.za il cardinale Giuseppe Pizzardo a Roma.

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