Il Presepe Vivente di Guardialfiera alla 34esima edizione

L’annuale riflessione di Vincenzo di Sabato

“Nell’anno quindicesimo del dominio di Tiberio – mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea ed Erode tetrarca della Galilea – la voce di Dio discese su Giovanni Battista, figlio di Zaccaria, nel deserto…” (Luca. 3, 1-6). ”Pagina solenne, quasi maestosa”, aleggia più o meno così il 2 dicembre Ermes Ronchi su <Avvenire>. Egli era appena rientrato dalla Casa di Formazione Pastorale di Larino, nella quale animò un Corso di Esercizi Spirituali per il Clero di Campobasso-Bojano. Da questi luoghi, dunque, da questi nomi, da quell’anno quindicesimo – talmente preciso nel conteggio della storia – si muove tutto l’incantevole racconto del Dio incarnato. La Verità si lancia dal Giordano fino a raggiungere il trono di Tiberio Cesare a Roma. Supera le frontiere politiche, sociali, etniche e religiose, per introdurre Cristo nella cronologia dei tempi: l’Uomo senza frontiere, l’asse attorno al quale ruotano i secoli, i millenni; dove danzano mendicanti, pecore, pastori e imperatori, paesaggi e villaggi e mestieranti.
 La narrazione dell’Evangelista e le interpretazioni del Ronchi – riconducibili a quell’epoca fondamentale – mi fanno immaginare la prefigurazione del Presepe. Quello che, soltanto nel 1223, suggestionò Francesco d’Assisi, il quale lo mise in scena nella Notte di Natale a Greccio, per essere preghiera e per propiziare la fine di gravi calamità  abbattutesi su quei territori.
Quante calamità da allora, quante tenerezze e speranze, quanti filari di parole sulle tracce di una Stella e di una stalla. La grotta, da allora, è al centro del cosmo! Essa ci ammonisce e ci sussurra ancora l’eterno bisogno del Salvatore. Nonostante si voglia intimare la disdetta di Dio, malgrado ci si ostini a sostituire l’espressione del “buon Natale” con “Buone feste”; sebbene si voglia sfrattare il presepe dalle scuole, il Natale resiste tra poesia, letteratura, arte, storia e tradizione. Quanti dopo Tommaso da Celano a bazzicare di presepi. Subito, infatti, Giotto lo raffigurò nel ciclo di affreschi nel tempio di Assisi; poi la maestria di Arnolfo di Cambio incorniciò le tavole di un’antica mangiatoia ritenuta quella di Gesù Bambino a Betlem, e venerata a Roma nella Basilica di Santa Maria Maggiore. E che sequela immensa nella letteratura: il racconto surreale di Pirandello e di Grazia Deledda; le narrazioni del toscano sindaco di Firenze Piero Bargellini ed “il presepe dei sette anni” di Achille Campanile. Ci sono stati anche “I Re Magi” di Gabriele D’Annunzio tratteggiati nelle sue “Laudi del Cielo”. E quella “Innocenza che tornò sul mondo” nel paesaggio calabrese di Corrado Alvaro. Anche Gianni Rodari ci racconta, con storia allegra e briosa, d’un allarme nel presepe: un pellirossa con l‘ascia di guerra, collocato in fondo al gregge, dietro la coda dell’ultima pecora.  Persino Schopenhauer, fra i più gradi pessimisti del pensiero filosofico, costruisce una rappresentazione fra le più toccanti nella letteratura razionale. E come si può dimenticare “Natale in casa Cupiello”? quel capolavoro di teatro napoletano ancora subissato da una profusione di elogi critici!
“Presepe”: la sola parola sa di “incanto”. E, dopo la forzata interruzione pandemica, anche il Presepe di Guardialfiera, ritorna a “Piedicastello” a donare “il suo incanto”, quasi in un dialogo di vita fra cielo e terra. E’ la 34^ Edizione. Il prossimo 26 dicembre e il 2 e il 6 gennaio, tornerà a persuaderci che non c’è infinito quaggiù, lontano dalle tenerezze umane.  Linguaggi e scenari nel labirinto dei vicoli, già accreditati da folle di visitatori e dalle molteplici dirette televisive di Rai  “Uno-Mattina” e che, attraverso il documentario “Fra il reale e l’irreale”, sia stato insignito nel 1992 dell’Airone dorato al Festival Internazionale del Film Turistico di Montecatini Terme, proiettato il 25 ottobre al Palazzo dei Congressi e premiato il 31 al Teatro Verdi alla presenza di delegazioni dei 5 Continenti e di 50 Nazioni.
Che il Presepe di Guardia, fra una nuvola di ali, ci ricordi ancora che “il Figlio  di Dio si è fatto Uomo, affinché l’uomo diventi figlio di Dio” (S. Agostino).