Tesi di dottorato in diritto canonico alla Pontificia Università Lateranense per Nicolino Benedetto

"La centralità della persona nella trattazione delle cause di nullità del matrimonio. In particolare la fase previa". Discussa il 6 marzo 2024 a Roma

Con l’espressione “centralità della persona” si intende considerare la realtà dell’uomo come persona, nella sua storicità, nella sua concreta irripetibilità, oggetto dell’esperienza giuridica e quindi del lavoro del giurista.

La riflessione canonistica sviluppata negli ultimi anni ha indirizzato l’ attenzione verso l’ orientamento “personalistico” che, partendo dal Concilio Vaticano li, ha influenzato i codici canonici vigenti.

In tale prospettiva si pongono anche i due Sinodi dei Vescovi del 2014 del 2015 sulla famiglia, l’Esortazione apostolica ‘Amoris Laetitia’*, la riforma del Processo Matrimoniale canonico attuata da Papa Francesco (Mitis et Misericors Jesus, Mitis ludex).

Oggi sono le “persone” che vengono poste al centro dell’impegno giuridico ed ecclesiale. I sacramenti non appaiono più (in prima istanza) “Atti di Culto” rivolti (o destinati) alla divinità, ma azioni di santificazioni rivolte o destinate alle persone che, attraverso di esse, santificano sempre più la loro vita rendendo in tal modo un culto autentico a Dio; In questa prospettiva, la persona incontra nel diritto canonico non solo un riconoscimento, ma anche una tutela dei suoi diritti nell’ambito ecclesiale, per la realizzazione della missione di salvezza che si compie attraverso il carattere personale della vocazione dell’uomo.

L’oggetto del consenso matrimoniale non consiste più (come nel codice del 1917), nell’interscambio del diritto sul corpo, bensì in quell’atto della volontà in cui l’uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio ”

(Can. 1057, 2).

In tale prospettiva, il concetto personalistico del matrimonio, il “se tradere” non è un mero enunciato verbale, ma realizza, qualcosa di nuovo, nasce una nuova realtà, che incide nello stesso essere dei nubendi, una nuova identità personale: l’identità coniugale. Pertanto per comprendere il consenso matrimoniale bisogna partire dal concetto di identità coniugale.

L’atto oblativo di sé e di accoglienza dell’altro, specificato dal Can. 1057, 2 (“mutuo sese tradunt et accipiunt ad constituendum matrimonium”) è un atto di irrevocabile assunzione della nuova identità coniugale e allo stesso tempo senza possibilità che si dia l’uno senza l’altro di riconoscimento nella comparte della medesima identità coniugale.

Nella prospettiva indicata circa il consenso matrimoniale quale atto di irrevocabile  assunzione della nuova identità coniugale, e, allo stesso tempo, di riconoscimento nella comparte della medesima identità coniugale, ci permette una verifica personalista dei capi di nullità.

Tale impostazione, sul piano processuale, non è altro che opera di discernimento sulla verità – ovvero sull’identità – del soggetto che si è sposato. Domandarsi secondo la tradizionale formula an constet de matrimonii nullitate significa in ultima analisi chiedersi: an constet de defectu identificationis coniugalis. Dunque nell’esaminare la biografia personale e di coppia è necessario domandarsi se vi sia stata o meno questa identificazione coniugale al momento delle nozze.

In Amoris laetitia Papa Francesco pone la coscienza al centro della morale, individuando nei tre verbi “accompagnare, discernere e integrare la fragilità” – titolo del capito ottavo – la realtà dell’esistenza concreta, nella quale si può ritrovare la storia dei singoli matrimoni e delle singole famiglie. In questa prospettiva, viene trovato un nuovo equilibrio tra l’ordine normativo oggettivo e la moralità concretamente vissuta, una delle novità più notevoli di questa esortazione apostolica.

Resta valido quanto stabilito circa la situazione dei divorziati risposati: essa “oggettivamente contrasta con la legge di Dio” (CCC 1650), e “il coniuge risposato si trova in una condizione di adulterio pubblico e permanente” (CCC 2384).

Da parte sua, Amoris Laetitia distingue non solo tra la situazione oggettiva e l’imputabilità soggettiva di un peccato ma riconosce anche la grazia che opera in queste situazioni e segue i sinodi dei vescovi per quanto riguarda il monito a “evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni” (AI, 79; 296), concludendo che “non è più possibile dire che tutti colore che si trovano in qualche situazione cosiddetta irregolare vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma” (AL 301).

La Congregazione per la dottrina della fede nella sua Lettera sull’indissolubilità del matrimonio del 1973 ha stabilito: “applicare nella soluzione di tali casi […] l’approvata prassi della Chiesa in foro interno”. Amoris laetitia mostra percorsi e possibilità che sono da perseguire o scandagliare ed esige espressamente “il dialogo con il sacerdote nel foro interno” (AL 300) tenuto a prendere in considerazione il giudizio della coscienza (AL 303).

Sui processi di nullità matrimoniale, nelle assemblee sinodali si è ribadita l’importanza di una pastorale giudiziale più integrale che includesse la necessità di migliorare la preparazione della causa specialmente nella fase pre-processuale e, di conseguenza, la necessità di incentivare la preparazione di un personale sufficiente, composto da chierici e laici, per un servizio di informazione, di consiglio e di mediazione nei confronti dei matrimoni in difficoltà, ancorando i processi nei criteri pastorali  maturati nell’esperienza sinodale,

Nella visione pastorale della preparazione delle cause come attività concreta della pastorale giudiziale si possono distinguere due fasi:

la prima fase consiste nella preparazione remota della causa relativamente al nuovo  ministero pastorale dedicato ai fedeli divorziati o separati (RP, articolo 1). Nella Ratio procedendi si attribuisce. al vescovo e al parroco il compito di andare alla ricerca di quanti possono averne necessità; nella Relazione sinodale si affida questo compito anche alle famiglie e ai movimenti familiari. L’obiettivo principale di questa prima fase è offrire ad un matrimonio fallito la revisione dei suoi presupposti. (Relatio Synodi, 2015, n. 82)

La seconda fase consiste nella preparazione più prossima, preordinata a ciò che nelle Regole procedurali viene definito come “investigazione previa” (RP, articolo 2 ). I soggetti di questa investigazione sono persone nominate dal Vescovo o da lui ammesse per tale compito, secondo quanto stabilisce il can.228 riguardo al dovere dei fedeli, esperti in una determinata scienza, che potrebbero prestare la loro collaborazione qualificata negli incarichi pastorali.

Il Vescovo in forza del can. 383 è tenuto a seguire con animo apostolico i coniugi separati o divorziati, che per la loro condizione di vita abbiano eventualmente abbandonato la pratica religiosa. Egli quindi condivide con i parroci (Cfr. can 529,1) la sollecitudine pastorale verso questi fedeli in difficoltà.

La deontologia dell’avvocatura canonica nelle cause di nullità matrimoniale e caratterizzata.

dalla corresponsabilità istituzionale, a servizio della verità, nella prospettiva della missione. Definire «missione» la funzione dell’avvocato nel processo canonico, significa riferirsi ad una relazione giuridica di collaborazione tra il difensore e la parte, che include necessariamente il conseguimento dei valori ultimi dell’ordinamento sui quali si fonda la “Natura istituzionale del processo canonico”.

Compito-del giurista in un Giudizio matrimoniale, non è semplicemente rilevare l’adeguatezza o meno di un comportamento ad un dettato giuridico, bensì indagare quale tipo di umanità spiega quel fallimento o “disadattamento giuridico”. Dietro un Matrimonio nullo o semplicemente fallito c’è, prima di tutto, un uso inadeguato della propria umanità, ossia un problema antropologico che il giurista è chiamato a saper intercettare, perché i criteri interpretativi non sono giuridici, bensì antropologici, focalizzati sulla qualità delle relazioni familiari del proprio cliente e quindi risulta meglio conforme all’antropologia della vocazione cristiana, perché regolarizza gli effetti, non solo passati (che riguardano l’oggetto del giudizio) ma anche futuri.

L’oggetto del Giudizio canonico di nullità matrimoniale non è un mero fatto giuridico da accertare, bensì un fatto antropologicamente qualificato da accertare giuridicamente. Il Processo di nullità matrimoniale fu proprio quello che è lo scopo tipico della Pastorale familiare in continuità con l’intero sistema della Pastorale familiare, come uno strumento di formazione di future scelte vocazionali.

L’attività di consulenza e preparazione di una causa di nullità matrimoniale è sempre pastorale, come si deduce dalle regole procedurali (cfr. art. 2-6 del M.I.), in cui si disciplina l’indagine pregiudiziale. Comincia cosi a farsi strada un modo nuovo per connotare l’agire dell’Avvocato ecclesiastico: l’accompagnamento e quindi l’avvocato come autentico soggetto della Pastorale familiare

Obiettivo dell’indagine pre-giudiziale è conoscere la condizione dei fedeli separati o divorziati, raccogliere elementi utili per un eventuale processo, verificare se le parti sono concordi nel chiudere la nullità. (Ct. RP, Art. 2 e 4).

Se sussistono i presupposti per introdurre la causa, l’indagine previa si conclude con la stesura del libello Cfr. (RP. Art. 5 ).

Con l’entrata in vigore del nuovo codice, la questione della rilevanza giuridica dell’amore non si pone nel voluto ossia su ciò che i coniugi si sono reciprocamente donati, ma su come i coniugi l’hanno voluto. (non più lo ius in corpus, ma l’amore). Il matrimonio è da ritenersi valido nella misura in cui gli sposi hanno «realisticamente» voluto costruire una comunità di vita e di amore.