Giuseppe Mammarella *
Il 27 dicembre del 2005, scomparve, all’età di 96 anni, don Arrigo Beccari, uno dei maggiori artefici del salvataggio dei ragazzi ebrei di “Villa Emma” in Nonantola, opera questa che ispirò, come forse si ricorderà, la sceneggiatura della fiction, andata in onda su “Rai Uno” nel maggio del 2004, “La fuga degli innocenti”.
Della vicenda me ne occupai già in passato. La morte del sacerdote che si oppose all’Olocausto servendosi di documenti contraffatti recanti un bollo falsificato del Comune di Larino, però, mi indusse ad effettuare ulteriori ricerche volte a scoprire l’esatta motivazione della scelta della città frentana, come luogo di provenienza degli ebrei. L’unica ragione ritenuta sufficiente fu quella della incontrollabilità da parte dei tedeschi in quanto Larino, all’epoca dell’espatrio dei giovani ebrei, era stata già occupata dagli anglo-americani. E’ dunque lecito chiedersi: perché Larino fu preferita ad altre città che si trovavano nelle stesse condizioni e cioè già liberate dalle truppe alleate? Considerato che la decisione di intraprendere l’impresa di falsificazione delle carte d’identità fu assunta all’interno del Seminario annesso alla nota abbazia di Nonantola, a conclusione di quel mio scritto avanzai l’ipotesi della notorietà del Seminario diocesano larinese; ma, prima di andare oltre, mi sia consentito ricordare quanto accadde allora.
Il 7 luglio del 1942 arrivarono a Nonantola, una bella città del modenese, quarantadue orfani ebrei e sette loro accompagnatori provenienti da Lubiana, che furono subito ospitati a “Villa Emma”, una grande costruzione di fine Ottocento dedicata dal suo primo proprietario Carlo Sacerdoti alla moglie Emma Coen. Ad essi, nell’aprile dell’anno successivo, si aggiunse un secondo gruppo di ragazzi, in fuga da Spalato per sottrarsi alla cattura degli ustascia, attivi collaboratori dei nazisti nella feroce persecuzione degli ebrei.
Gli ospiti di “Villa Emma”, aiutati dalla “Delasem”, una organizzazione assistenziale dell’ebraismo italiano, aumentarono così al numero di settantatre ragazzi, dell’età compresa tra i sei ed i ventuno anni, e diciannove addetti alla loro assistenza.
La maggior parte dei giovani, specialmente quelli del primo gruppo, provenienti dalla Germania e dall’Austria (zone di Amburgo, Berlino, Lipsia, Francoforte, Vienna e Graz), avevano raggiunto in qualche modo Zagabria. Si trattava, come già accennato, di orfani: i loro padri avevano perduto la vita nei campi di concentramento, mentre gli altri componenti della loro famiglia, erano stati deportati nella Polonia occupata e lì sterminati. In seguito all’invasione tedesca della Jugoslavia, i giovani vennero alloggiati in un vecchio castello di Lesno Brdo situato nei pressi di Lubiana, e successivamente fu concesso loro di trasferirsi in Italia.
Dopo l’8 settembre del 1943, il rischio di deportazione e morte si fece imminente anche per coloro che avevano fissato la dimora a “Villa Emma”. I nonantolani, dimostrarono allora di saper trasformare l’ospitalità in vera amicizia e solidarietà. Nel giro di breve tempo i ragazzi ed i loro accompagnatori, prima di essere portati in salvo, vennero nascosti in gran parte nel locale Seminario ed altri presso varie famiglie del posto.
L’idea di utilizzare un timbro a secco del Comune di Larino, raffigurante, però, non l’ala su campo azzurro, ma uno stemma di fantasia formato da cinque fasce verticali contenute nello scudo, maturò all’interno della sacra istituzione nonantolana. Senza alcun dubbio questa decisione fu presa appena lì giunse la notizia che la città frentana era stata o stava per essere liberata dagli anglo-americani (le truppe alleate sbarcarono sulla costa molisana il 3 ottobre del 1943 e pochi giorni dopo, tra il 10 ed il 12, entrarono a Larino), però, con ogni probabilità, nella scelta fu preferito l’antico capoluogo frentano per la fama del suo Seminario, non solo perché da sempre fioriva “in qualunque ranco di scienza”, ma soprattutto per il primato nel mondo cattolico sottolineato solo pochi anni prima anche da Angelo Giuseppe Roncalli (il futuro Pontefice San Giovanni XXIII) nel suo studio giovanile dal titolo “Gli inizi del Seminario di Bergamo e San Carlo Borromeo”, pubblicato nella città lombarda nel 1939.
Ma chi avrebbe potuto proporre Larino in quella particolare circostanza? Cercherò di venirne a capo attraverso un elemento che, a mio modesto avviso, è da tenere in alta considerazione. Sul finire degli anni Venti del Novecento, chiamato dal Vescovo mons. Bernacchia, giunse nel Basso Molise tale don Alberto Pellesi che aveva intrapreso i suoi studi nel Seminario abbaziale di Nonantola, dove conobbe, tra gli altri, il giovane Igino Bazzani, nato nel 1903 a Montecuccolo, una borgata di Pavullo nel Frignano, e morto, in concetto di santità, a soli tredici anni nel 1919; la biografia del giovanetto venne poi raccolta dallo stesso don Pellesi e data alle stampe a Modena nel 1928 col titolo “Un Giglio dell’Appennino”. Il Pellesi, dopo aver svolto l’attività di insegnante nei Seminari di Larino e Termoli, nel 1931 venne destinato, come parroco, a Montemitro dove operò per circa tre anni. Nel novembre del 1934, i suoi superiori gli concessero, per motivi di famiglia, il permesso di rientrare nell’archidiocesi di Modena il cui arcivescovo era anche abate di Nonantola. A don Pellesi, poi, venne assegnata la parrocchia di Barigazzo, una frazione di Lama Mocogno, dove continuò ad esercitare la sua missione sacerdotale (Archivio Storico Diocesano di Termoli-Larino, sez. IV -Termoli-, b. 28, f. 761). Egli, senza alcun dubbio, nella sua zona di origine incontrò spesso non solo don Beccari, ma anche altri personaggi che, poco meno di dieci anni dopo, si adoperarono per falsificare il timbro di una località non più controllabile dai tedeschi. Secondo me avrebbero influito molto, in quella occasione, le informazioni su Larino trasmesse da don Pellesi (insegnante nel Seminario frentano per circa due anni) ai suoi confratelli, amici e conoscenti.
Giuseppe Moreali, nei sui “Sprazzi di luce” apparsi a Modena nel 1978, c’informa che i due preti del Seminario di Nonantola, l’economo don Arrigo Beccari e l’insegnante don Ennio Tardini, poterono dedicarsi con assiduità all’opera di falsificazione dei documenti personali per gli ebrei. “Io invece, – scrive Moreali – medico condotto, oltre al servizio allora a giorni alterni in ambulatorio, dovevo percorrere in bicicletta decine di chilometri di strade con breccia e spesso fangose, carraie a piedi, e servire a domicilio oltre alla nostra popolazione, anche gli sfollati di Modena. Io potevo aiutare i due preti nelle falsificazioni, soltanto di notte. Ricordo che fu da me scelta la cittadina di Larino allora incontrollabile come luogo di provenienza degli ebrei […], e io stesso in molte carte d’identità ho messo la firma (come Sindaco di Larino, n. d. a.). Le carte d’identità che noi compilavamo, ci venivano fornite dall’impiegato comunale […] Bruno Lazzari, giovane mite e colto poeta […]. Egli le traeva con destrezza dalla cassaforte in cui erano tenute, a ogni svista del capo ufficio”.
In un’altra testimonianza diretta resa da don Beccari, tratta da “I giorni di Villa Emma”, si rileva quanto segue: “I nostri documenti avevano un particolare valore perché il timbro era a secco e non di gomma. Il timbro di gomma era troppo facile da costruire e metteva subito in sospetto. Il timbro a secco noi lo facemmo costruire a Primo Apparuti, un bravissimo artigiano di Nonantola. Lo scolpì sopra la testa di un grosso bullone. Apparuti in un primo tempo non voleva collaborare perché pensava che fosse qualcosa di illecito. Poi imparò che serviva anche per gli ebrei di Villa Emma e accettò di farlo. Una mattina si presentò da me e mi diede il timbro già fatto. Mi disse che un giorno si trovava disperato su un argine di un canale, un uomo gli andò incontro, gli parlò, lo consolò e lo incoraggiò. Costui era un ebreo”.
La felice conclusione della storia, Moreali la descrive così: “Condotta a compimento la nostra impresa di falsificatori (quella messa in atto per gli ebrei tenuti nascosti, dopo l’8 settembre, nel Seminario ed in altri luoghi nonantolani, n. d. a.), fu grande la soddisfazione per noi veder partire in treno dalla stazione di Nonantola in un buio mattino di ottobre, gli ex ospiti di Villa Emma. Essi erano diretti alla frontiera svizzera, provvisti dei nostri documenti e guidati dall’incomparabile Ithai vestito da sacerdote cattolico (Josef Indig -Ithai- pubblicò a Tel-Aviv nel 1983 il volume in ebraico “Yaldey Villa Emma”, n. d. a.). Essi riuscirono ad attraversare il confine costituito da un fiume, col mezzo di una corda, e fu a loro concesso l’asilo politico”.
Si salvarono tutti e la maggior parte di loro, alla fine della guerra raggiunse la Palestina.
L’opera di falsificazione con il timbro del Comune di Larino continuò, anzi, dalla fine dell’autunno del 1943, iniziò a funzionare a pieno regime. Molti ebrei furono inviati a Nonantola per ottenere documenti. Don Tardini, in una sua memoria ricorda: “Don Monari da Modena si teneva in contatto con noi e ci smistava gli ebrei che venivano anche da Firenze”. Pure Moreali, sempre nei suoi “Sprazzi di luce”, conferma che l’attività più difficile ed impegnativa venne svolta dopo la partenza dei ragazzi di “Villa Emma”, quando l’Ortskommandantur venne trasferito nella sala principale del Seminario. “Pur in tale pericolosa situazione – riferisce Moreali – isolati ebrei ed intere famiglie continuarono a giungere a Nonantola […]. Spesso venivano trattenuti ed ospitati nelle stanze di don Beccari e alimentati fino alla nostra compilazione di una tessera perfetta”. Il timbro a secco falso del Comune di Larino venne usato anche per preparare carte d’identità da rilasciare a partigiani, specialmente quelli che operarono nella “Brigata Italia” (cfr. Enrico Ferri, “La vita libera. Biografia di don Arrigo Beccari”, Modena dopo il 1995).
Moreali, nelle attestazioni raccolte nei suoi più volte citati “Sprazzi di luce”, aggiunge: “Nel marzo 1965, dietro l’invito del Comitato dell’Aliyath Ha Noar e in base alle decisioni del Comitato per gli Uomini giusti dello Yad Vashem di Gerusalemme, chi scrive e don Arrigo Beccari, […] hanno raggiunto per la via marittima Israele, allo scopo di ricevere una medaglia loro assegnata e aver il privilegio di piantare col loro nome un albero nel ‘Viale dei Giusti’ di Gerusalemme, in riconoscenza della pericolosa opera svolta a favore di ebrei perseguitati durante l’ultimo conflitto mondiale”.
Nel corso dell’ultimo commosso saluto di Nonantola a don Arrigo Beccari, l’allora Arcivescovo Metropolita di Modena-Nonantola mons. Benito Cocchi, alla presenza di numerose autorità tra cui, in rappresentanza della Comunità ebraica, il Rabbino capo di Ferrara Luciano Caro, ricordò la nobile figura del sacerdote definendolo un eroe del nostro tempo, in virtù delle azioni compiute durante la sua lunga vita. “Un esempio di coraggio e virtù – sottolineò in quella occasione mons. Cocchi – un vero ‘progressista’ per i metodi innovativi che applicò nell’educare i giovani, e per l’attenzione che sempre dimostrò nei confronti della cultura”.
*Responsabile dell’Archivio Storico Diocesano di Termoli-Larino